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La triade impossibile

Il teorema della Triade Impossibile afferma che non possono coesistere contemporaneamente tre fattori: libertà di movimenti di capitale, autonomia della politica economica e stabilità del tasso di cambio. Cioè al massimo possono convivere solo due di loro (tradotto: non puoi avere la botte piena e la moglie ubriaca). L’Unione Europea, lo dice la parola stessa, è un’unione monetaria, vale a dire che abbiamo tutti la stessa valuta, quindi ad esempio non c’è un tasso di cambio fra la Lira e il Marco, non più. Teoricamente la valuta dovrebbe rappresentare tutti i paesi dell’area. Ma ovviamente in Europa non è così e non può esserlo, vista la disomogeneità degli stati che la compongono.
Molti in questo momento stanno ipotizzando di tutto sull’Euro: si parla di creare due valute (una per gli stati ricchi del nord una per quelli in difficoltà del Mediterraneo), si discute se tornare ognuno alle proprie valute (impensabile e inattuabile), ci si chiede se scartando la mela marcia si salvino tutte le altre (Grecia fuori dall’Euro).
Quello che fa riflettere e che non ci si è chiesti è che praticamente la Grecia ha cominciato ad essere trattata come un paese non dell’unione, ma con un cambio 1:1 con l’Euro. E’ strano, ma è così. Se andiamo a guardare la triade, ad ora la Grecia ha un tasso di cambio fisso con l’Euro, ha libertà di movimento di capitali  ma non ha autonomia della politica economica. Non più. Cioè i politici greci devono sottostare a regole imposte dall’esterno. Ancora non si sono fatti un Euro di serie A e un Euro di serie B, intanto si sono cominciati a fare europei di serie A ed europei di serie B. Probabilmente sono situazioni necessarie (anzi, noi ne siamo convinti), ma quando si formò l’Euro questo era uno scenario impensabile (non è un caso che non siano state previste misure per ovviare a situazioni del genere che infatti sono andate puntualmente sottovalutate); come dire: quando l’economia supera la fantasia.

Il signoraggio

1kg di farina, 2 cubetti di lievito,  4 cucchiai di olio d’oliva, 1 cucchiaino di sale, un pizzico di zucchero, 300 ml di acqua e 300 di latte, 4 mozzarelle e una passata di pomodoro. Sono questi gli ingredienti per quattro pizze margherita. La spesa è irrisoria e alla portata di molti. Ora andare nella mia pizzeria preferita e ordinare una Margherita comporta una spesa di 6.50 € a testa. Il rincaro è clamoroso.
Le attività commerciali sopravvivono con questi rincari.
Adesso vi faccio una domanda: aprite il vostro portafogli, prendete la prima banconota che vi capita sottomano, quanto vale? Cinque euro? Dieci? Un momento un momento, guardiamola per quello che è, stiamo parlando di un pezzo di carta con una stampa su entrambe le facce. Quindi la risposta è: pochissimo. Ecco, la differenza tra il valore di quel pezzo di carta e il valore fiduciario (i 5 o i 10 euro) si chiama signoraggio (che è l’insieme dei redditi che uno stato ottiene emettendo moneta).
Il signoraggio è stato sempre visto come un’entrata per lo stato che si aggiungeva a quella fiscale. In momenti di difficoltà più di una volta diversi paesi si sono finanziati emettendo moneta: generaano introiti nelle casse dello stato ma alimentavano l’inflazione (caso emblematico è quello della Germania degli anni ’20 che diede origine ad un fenomeno di iperinflazione unico nella storia e che è considerato da molti alla base dell’avvento del nazismo). Anche l’Italia ha fatto in diversi momenti ricorso al signoraggio per finanziarsi. Ora però, con la politica monetaria delegata alla BCE, gli introiti per l’Italia si sono ridotti significativamente.
Vi chiederete: ma perché non fare una moneta che abbia il valore che rappresenta? Cioè se la zecca coniasse una moneta di rame del valore effettivo di 5€ allo stato verrebbe levata questa possibilità di lucrare sui suoi debiti (ricordiamoci che il denaro non è altro che la più liquida delle cambiali verso il più solvente e potente dei debitori). Teoricamente non ci sarebbero problemi e infatti inizialmente la moneta rappresentava effettivamente il suo valore nominale, ma i materiali si potevano valutavare e svalutare molto velocemente, al punto da rischiare di andare in giro con un carro semplicemente per trasportare una gigantesca moneta di rame di poco valore. A questo inconveniente si era ovviato sul finire del diciannovesimo secolo con delle monete che avessero intrinsecamente il valore di un metallo prezioso, pur essendo di carta (alcuni ritengono che yen derivi proprio da una traduzione di argento): lo stato doveva dotarsi della quantità di metallo tale da poter corrispondere a qualsiasi cittadino ne facesse richiesta la somma dovuta (ad esempio se io avessi avuto 1000 $, il governo americano doveva essere in grado di convertirlo in oro in ogni momento ne facessi richiesta). Con la crisi petrolifera degli anni ’70 e il prezzo dell’oro schizzato alle stelle, ci si è resi conto che anche questa modalità non era efficiente. Così si è passati alla moneta fiduciaria, che è quella che abbiamo ora. Semplicemente quel foglio che abbiamo accartocciato nelle tasche, vale 5€ perché io so che se vado dal macellaio questi mi darà in cambio 5€ di carne. In breve il valore della moneta è tale perché è condiviso.
Adesso il discorso fatto finora per ovvie ragioni di spazio e di tempo può risultare semplicistico ed effettivamente lo è. Il signoraggio non è scomparso, ci mancherebbe, ad avvantaggiarsene sono gli stati e le banche centrali (e conseguentemente le banche commerciali) che sono le effettive emittenti di moneta, mentre i cittadini sono chiaramente quelli che ci rimettono. Le soluzioni possono essere molteplici, si va da chi propone la possibilità per tutti di emettere moneta (situazione sperimentata agli albori della storia economica, con pessimi risultati), oppure aumentare il ricorso alla moneta elettronica (possibilità questa che però potrebbe portare vantaggi ai soggetti di cui sopra sotto altre forme), o altre soluzioni ancora. L’unica cosa certa è che di questo problema si parla ancora troppo poco. Eppure tutte le volte che andiamo in pizzeria diciamo “certo che con questi prezzi nessuna famiglia può più permettersi una pizza a settimana!”.