Nel 1980 a Milano canta Bob Marley, a Mosca ci sono le Olimpiadi, a Washington si insedia Reagan, Kramer contro Kramer vince l’Oscar… e per l’ultima volta il Giappone sperimenta il deficit di bilancia commerciale.
Questo paese ha avuto dalla seconda guerra mondiale fino alla fine del secolo scorso, uno degli sviluppi economici più importanti della storia, basato su tre capisaldi:
1) una tecnologia all’avanguardia, basata su un sistema industriale efficiente e nessuna dipendenza energetica dall’estero;
2) famiglie con i più alti tassi di risparmio del pianeta che hanno utilizzato per finanziare il proprio debito pubblico (il più alto del mondo, ma solo una piccola parte detenuto da stranieri);
3) un’economia basata sul commercio con l’estero: gran parte della produzione veniva esportata.
Tralasciando quello che di gravissimo è successo negli anni ’90 (trappola della liquidità e “decennio perduto” di cui magari parleremo un’altra volta), negli ultimi dieci anni le certezze della seconda economia mondiale sono traballate, sia a livello globale che nella zona del Pacifico. La competizione con paesi della stessa area geografica comincia a farsi sentire: la Cina riesce a produrre a costi decisamente più bassi prodotti di qualità sempre crescente, per non parlare della Corea che in certi settori ha aziende leader. Altro problema è quello legato alle famiglie: i baby boomers, la generazione che ha permesso il salto economico di cui si parlava è ormai in età pensionabile e questo in un paese a bassissima natalità, senza immigrazione e sempre più vecchio comporta dei costi sociali non indifferenti, sancendo soprattutto la fine di una popolazione dedita al risparmio.
Infine quest’anno c’è stato il terremoto di marzo, con tutto ciò che ha comportato. Ma economicamente parlando quello che ne è conseguito è che il Giappone, trovandosi costretto a rinunciare al nucleare si è scoperto non più autosufficiente energeticamente e per un paese industrializzato a tal punto, questo è un danno dalle conseguenze catastrofiche. La prima di queste conseguenze è stata annunciata ieri: per la prima volta in 31 anni la bilancia commerciale è in deficit. A sancire la caduta dell’ultimo caposaldo di un ex sistema vincente.
Dimenticavo: nel maggio del 1980 in Giappone veniva commercializzato per la prima volta Pac-Man… decisamente altri tempi…
SONDAGGIO
Loading ...
Categorie
- Crisi area Euro (13)
- Crisi Globale (1)
- Glossario Bellico (4)
- Messaggi dal giorno prima (7)
- Voci dal giorno dopo (1)
Archivi
- febbraio 2012 (6)
- gennaio 2012 (9)
- dicembre 2011 (11)
Siti Amici
Cari amici, leggo ovunque mille sagge idee su come migliorare la situazione economica del nostro Paese ma raramente vedo affrontare il tema della CAUSA, unica e primordiale, della crisi economica che da almeno 15 anni colpisce i paesi con alto costo del lavoro. Stiamo accettando che la crisi sia un fatto ineluttabile, piovuto da cielo, e come tale nessuno possa immaginare se e quando finirà. Parrebbe che l’unica nostra possibilità sia quella di rallentare la corsa verso l’abisso con le mille sagge idee di cui discutiamo ogni giorno da anni.
Ora però mi sono formato l’opinione che la crisi nasca da un’unica causa, un errore compiuto in buona (per alcuni anche cattiva) fede oltre 15 anni fa dagli economisti dell’epoca e che essi oggi non si sentano di accollarsi una responsabilià così grande riconoscendolo.
Ecco perchè ora mi permetto di portare l’attenzione sull’origine della crisi e di proporre un’ipotesi che la spieghi e quindi permetta di arrestarla.
(nota: desidero chiarire che spunti per questa ipotesi provengono dal volumetto di Giulio Tremonti “La paura e la speranza”).
Per spiegarmi userò una metafora: immaginate che io, con i miei 76 anni, entri in una “competizione globale”, da disputare sui 100 metri piani, affrontando tutti gli atleti del mondo (incluso Usain Bolt), e mettendo in gioco tutte le mie fonti di sostentamento inclusa la pensione di cui vivo.
Come mi definireste? Un imprudente ? No, meglio dire un ‘imbecille.
Ebbene gran parte dei Paesi del pianeta, il 15 aprile 1994, firmarono a Marrakech il trattato WTO, trattato di “libero scambio” con il quale accettavano la “competizione globale” in campo commerciale, rinunciando alle barriere doganali con le quali da sempre avevano “protetto” la propria industria, in caso di necessità.
In seguito a ciò le imprese ed i lavoratori di paesi come la Grecia, l’Irlanda, la Spagna, l’Italia entrarono in competizione con potenze industriali del calibro della Cina e con le imprese multinazionali delocalizzate in paesi con bassissimo costo del lavoro, giocandosi le proprie industrie ed il proprio lavoro.
Dall’entrata in vigore del trattato, nel 1995, i paesi perdenti in questa competizione globale hanno iniziato a rallentare il proprio sviluppo economico, poi sono passati alla fase di stagnazione per piombare infine nella recessione senza via d’uscita.
C’è speranza di vincere la competizione ? Assolutamente no, come per il signore della parabola, e come lui dobbiamo essere definiti.
Naturalmente la via d’uscita esiste: uscire dal trattato di libero scambio e cominciare a produrre e consumare una maggiore quantità di prodotti nazionali, riavviando la nostra industria e la nostra occupazione. Ovviamente non si suggerisce di bloccare tutte le importazioni, in quanto l’Italia è un paese in cui gli scambi commerciali sono un’aspetto essenziale, ma di applicare, solamente alle importazioni più pericolose per la nostra industria, tariffe adeguate per limitarle, come facemmo per realizzare il miracolo economico del dopoguerra.
Cordiali saluti, Fabio